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Petrarca, RVF 1

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Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ‘l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono:

del vario stile in ch’io piango et ragiono
fra le vane speranze e ‘l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;

et del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto,
e ‘l pentérsi, e ‘l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

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A
B
B
A

A
B
B
A

C
D
C

D
C
D

Prima quartina



Seconda quartina



Prima terzina


Seconda terzina



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FRANCESCO PETRARCA: Canzoniere. Hg. von Marco Santagata. Milano: Mondadori, 1996, S. 5-12.


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“Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono” è il primo della raccolta poetica Rerum Vulgarium Fragmenta, conosciuto anche come il Canzoniere, di Francesco Petrarca (1304-1374). La raccolta appare per la prima volta nella metà del XIV secolo. Il Canzoniere tratta dell’amore contrastato per Madonna Laura. La natura duale dell’amore provato dall’io lirico, diviso fra passione terrena per la donna e amore celeste per Dio, si lascia rinvenire a livello strutturale nella composizione dell’opera stessa: mentre la prima parte narra del tempo precedente alla morte di Laura, la seconda si concentra sul tempo successivo alla sua scomparsa. I sonetti introduttivi dell’opera si presentano, secondo Picone, come “un blocco omogeneo sia dal punto di vista tematico che ideologico.”[1] Essi, secondo l’autore, assolverebbero inoltre non solo una funzione narrativa, bensì di commento, in quanto forniscono informazioni capitali dal punto di vista ermeneutico.[2] Trattandosi del sonetto inaugurale dell’intera raccolta poetica, esso comincia con una dedica al lettore, o all’ascoltatore, che assomiglia molto ad una captatio benevolentiae: “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”. Come sostenuto da Santagata, infatti, “il sonetto si adegua per più aspetti ai canoni, classici e romanzi, dell’exordium.”[3] Quest'idea è condivisa da Picone, il quale afferma che dal secondo sonetto fino al quinto si colloca l’initium narrationis, la cui funzione “è quella di esibire gli elementi sui quali l’evento raccontato si basa.”[4] Il primo verso della prima quartina esprime, quindi, in modo inequivocabile, attraverso il pronome personale soggetto “Voi”, il destinatario del componimento poetico: il pubblico lettore, che ascolta “in rime sparse il suono”, ovvero legge le poesie del poeta. È indicativo il fatto che vi sia una forte propensione a marcare deitticamente il “Voi” ricorrendo a una figura retorica classica, l’anacoluto. Tra il primo verso della prima quartina e l’ultimo della seconda, infatti, non vi è coesione a livello sintattico-grammaticale fra le varie parti della frase: "Voi che ascoltate"/ "spero trovar pietà". In questo primo sonetto vi è anche una forte presenza dell’io lirico, la quale viene declinata secondo uno schema ossimorico, che vede contrapposto all’io del presente quello del passato. Il pronome personale soggetto “io” è infatti rintracciabile per ben tre volte: due nella prima e una nella seconda quartina. Nell’ultimo verso della prima quartina è espressa in modo cristallino la contrapposizione temporale fra era/sono dell’io lirico, la quale viene connotata in maniera molto precisa: la giovinezza dell’io lirico viene interpretata come un momento di corruzione e perdizione, mentre nel presente egli sembra aver riacquistato la saggezza. Confrontando la prima quartina con la prima terzina del sonetto, infatti, appaiono chiaramente il pentimento e la vergogna presenti, per le azioni dell’io lirico compiute nel passato. Il dualismo temporale rinvenuto nella prima quartina fra il sono/era dell’io lirico è rintracciabile nella struttura del sonetto stesso. Se sull’errore giovanile si concentrano le prime due quartine, il tema del dolore e del pentimento attuale viene declinato in maniera chiara nelle due terzine finali. Quello dell’errore giovanile, del pentimento e del dolore conseguente è quindi il tema fondamentale del componimento poetico. Anche il tempo segue questo andamento duale, essendo i tempi verbali del sonetto declinati al presente, al passato remoto e all’imperfetto. Questo aspetto sembra essere confermato da Rico, il quale rileva come caratteristica costitutiva di questo primo sonetto “l’architettura bimembre, il gioco di dicotomie.”[5] Il sonetto è, come si accennava, diviso tematicamente e temporalmente fra le prime due quartine e le ultime due terzine. Per lo studioso spagnolo il dualismo rintracciabile nel microtesto verrebbe riflesso a livello macrotestuale nell’intera struttura del Canzoniere.[6] Tuttavia è necessaria una precisazione: la divisione fra prima e dopo viene sfumata nella prima quartina dalla locuzione “in parte”, che traccia una linea di continuità fra i due esseri dell’io lirico.

A livello semantico sono rintracciabili diverse isotopie. Centrale è quella del dolore patito dall’io lirico che costituisce, come detto, anche l’oggetto stesso della poesia: “sospiri”, “errore”, “piango”, “dolore”. Fondamentale è anche il tema della speranza e della voglia di riscatto da parte del poeta, che seguono al riconoscimento dell’errore commesso in gioventù. A tal proposito troviamo il gruppo semantico: “speranze”, “spero”, “pietà”, “perdono”. A questi gruppi semantici che connotano in modo inequivocabile il tono delle prime due quartine segue il tema del pentimento, descritto nelle ultime due terzine del sonetto: “favola fui”, “mi vergogno”, “vaneggiar”, “pentersi”, “breve sogno”. Si potrebbe a questo punto avanzare addirittura l’ipotesi che il dualismo insito nell’io lirico, diviso fra amore terreno per Laura e il sentimento religioso (a sua volta espresso dalle isotopie: “piango et ragiono, “vane speranze e ‘l van dolore“), conduca al suo pentimento. L’aggettivo “sparse” connota in questo contesto anche la struttura interna dell’io lirico, dilaniato dall’errore che lo ha allontanato da Dio, ed è inoltre ricollegabile alla prima terzina del sonetto LXI del Canzoniere: “chiamando il nome de mia donna ò sparte”. In entrambi i casi l’aggettivo "sparse" crea un collegamento fra il dolore amoroso dell’io lirico e la sua interiorità divisa.

Come accennato in precedenza, la divisione del componimento poetico in due quartine e in due terzine, tipica della struttura del sonetto, rispecchia una divisione tematica fra dolore e pentimento dell’io lirico. Essendo il sonetto un componimento isometrico, i versi sono tutti endecasillabi e presentano uno schema metrico del tipo: ABBA, ABBA, CDE, CDE, “con assonanza di A con E, e imperfettamente con B, -ono, -ogno, -ore”[7]. Quest’ultima è, come sottolineato da Noyer-Weidner[8], di particolare importanza, se si pensa che unisce non solo le tradizionali parole core : amore : dolore ma anche e soprattutto “errore”. Per lo studioso tale parola costituirebbe addirittura il perno attorno al quale ruoterebbe l’intero componimento poetico. Un altro studioso come Martinelli[9] ne ha sottolineato la valenza semantica originale, non essendo secondo lui rapportabile all’idea di “colpa, fallo” quanto di “erranza”, ovvero di allontanamento da Dio. Dal punto di vista retorico sono presenti diverse figure. All’anacoluto iniziale seguono simmetrie e chiasmi che si ricollegano al dualismo tematico. Così troviamo nelle prime due quartine una struttura a chiasmo: mentre nella prima troviamo inizialmente l’invocazione “Voi che ascoltate” e poi la catena delle subordinate, nella seconda quartina lo schema viene rovesciato, poiché la catena delle subordinate precede, alla fine del verso, l’invocazione “spero trovar pietà, nonché perdono”. Nel secondo verso della seconda terzina troviamo invece un parallelismo: “le vane speranze e ‘l van dolore”. La coppia semantica “speranza” - “dolore” forma tuttavia una forma a chiasmo con la coppia “piango” – “ragione”, presente nel verso immediatamente precedente. Numerose sono le metafore: nella prima quartina il verbo “nutrire”, nella prima terzina il sostantivo “favola”, il quale forma con il verbo “fui” anche un’allitterazione e, infine, nell’ultima terzina troviamo ancora la parola “frutto” utilizzata metaforicamente. Oltre a quella appena ricordata, vi sono altre allitterazioni: quelle inizianti per V: “vario”, “vano”, “vaneggiar”, “vergogna”, e quella con iniziale M: “di me medesmo meco mi vergogno”, volta ad evidenziare dal punto di vista retorico il carattere penitenziale del sonetto.



[1] Picone, p. 25.

[2] Cfr. ivi.

[3] Santagata, p. 6.

[4] Picone, p. 26.

[5] Rico, p. 106.

[6] Ivi, p. 107.

[7] Bettarini, p. 5.

[8] Noyer-Weidner, pp. 327-353.

[9] Martinelli, pp. 278-300.

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idBibliographie

P r i m ä r l i t e r a t u r

Canzoniere1PETRARCA, Francesco, Canzoniere, hg. von Marco Santagata, Mailand 1996.

PETRARCA, Francesco, Canzoniere. Rerum vulgarium fragmenta, hg. von Rosanna Bettarini, Turin 2005.

S e k u n d ä r l i t e r a t u r

MARTINELLI, Bortolo, L’ordinamento morale del Canzoniere, in ebd., Petrarca e il Ventoso, Bergamo 1997, S. 217-300.

NOYER-WEIDNER, Il sonetto I, in «Lectura Petrarce», IV (1984), S. 327-353.

PICONE, Michelangelo, L’inizio della storia (RVF 1-10). in Il Canzoniere. Lettura micro e macrotestuale. hg. von Michelangelo Picone, Ravenna 2007, S. 25-51.

RICO, Francisco, 'Rime sparse', 'Rerum vulgarium fragmenta'. Para el titulo y el primer soneto del 'Canzoniere', in «Medioevo romanzo», III (1976), S. 101-138.