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Diese Analyse wurde im Rahmen des Kurses "Liebeslyrik der Renaissance und des Barock" von Elisabeth Guy verfasst.

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Petrarca, RVF 54

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Perch’al viso d’Amor portava insegna,
mosse una pellegrina il mio cor vano,
ch’ogni altra mi parea d’onor men degna.

Et lei seguendo su per l’erbe verdi,
udí’ dir alta voce di lontano:
Ahi, quanti passi per la selva perdi!

Allor mi strinsi a l’ombra d’un bel faggio,
tutto pensoso; et rimirando intorno,

vidi assai periglioso il mio viaggio;
et tornai indietro quasi a mezzo ’l giorno.

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A
B
A

C
B
C

E
F

E

F

Prima terzina



Seconda terzina





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FRANCESCO PETRARCA: Canzoniere. Hg. von Marco Santagata. Milano: Mondadori, 1996, S. 288-293.

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Il e la sono in primo luogo generi musicali sviluppati dai compositori dell’Ars Nova nel Trecento. Il madrigale è polifonico, mentre la ballata può essere un pezzo monodico o polifonico e, come indica il nome, danzato. Ci sono opinioni divergenti riguardo alle origini, forse popolari, di questi due generi. Per la parola “madrigale”, sono state proposte diverse etimologie, alcune delle quali tendono a mettere in evidenza l’origine popolare di questo genere, ad esempio quella di Antonio da Tempo (1332), secondo cui essa deriverebbe dalla parola “mandra”[1].

In quanto metri lirici, vengono considerati più “leggeri” o di un livello più “basso” del sonetto e della canzone[2]. Non sorprende pertanto che siano i metri meno rappresentati nel Canzoniere di Petrarca. Mentre esso contiene non meno di 317 sonetti e 38 canzoni, le ballate sono solo sette e i madrigali quattro.

Mentre il madrigale cinquecentesco è molto libero, con la possibilità di un’alternanza di endecasillabi e settenari e una struttura strofica abbastanza libera, quello del Trecento ha una struttura più definita. I madrigali del Canzoniere sono tutti scritti esclusivamente in endecasillabi. Due di essi (RVF 52 e 106) sono composti da due terzine e un distico, uno (RVF 121) da tre terzine, e uno (RVF 54) da due terzine e due distici. Una caratteristica del madrigale trecentesco è il suo carattere narrativo[3]. Ricorda la pastourelle provenzale, in cui l’io lirico raccontava un incontro con una fanciulla, spesso una pastorella, ma il madrigale è più breve. L’ambientazione in un locus amoenus, il suo carattere idillico sono anche tipici del madrigale[4].

Il madrigale RVF 52 è stato musicato da Jacopo da Bologna, ed è l’unico per il quale sia stata tramandata una musica contemporanea a Petrarca. Si può supporre però che tutti siano stati scritti con l’idea che potessero essere musicati. Alcuni critici[5] suppongono che siano poesie d’occasione che sono state leggermente modificate per essere accolte nel Canzoniere, come potrebbero indicare le varianti testuali in RVF 52.

Il madrigale RVF 54 “Perch’al viso d’amor portava insegna” è il più lungo dei madrigali del Canzoniere. È composto di due terzine e due distici, tutti i versi sono endecasillabi. Lo schema delle rime è il seguente: ABA CBC EF EF.

La presenza dell’io lirico è abbastanza marcata: esso appare nel secondo verso (“il mio cor vano”); nel terzo verso c’è un pronome personale nella prima persona (“mi parea d’onor men degna”), e inoltre ci sono diversi verbi coniugati alla prima persona del singolare; l'io lirico non si rivolge a una persona particolare, né alla donna, né ad Amor. Come ci si aspetta in un madrigale, si tratta di una poesia narrativa (scritta al passato), ambientata nella natura.

Come in molte poesie del Canzoniere, il tema è quello dell’amore e del pentimento. L’io lirico si innamora e, alla metà della poesia, viene chiamata da una voce alta (verso 5: “udì dir alta voce da lontano), il che lo porta al pentimento e alla conversione nell’ultimo verso (Verso 10: “et tornai indietro quasi a mezzo ‘l giorno”).  Come isotopie, si possono identificare i seguenti motivi: l’amore (Amor, cor, d’onor degna), il viaggio (pellegrina, passi, viaggio, tornai indietro), la natura (erbe verdi, selva, faggio), il pericolo (assai periglioso, quanti passi perdi...).

Il motivo del viaggio riguarda sia l’io lirico che la donna amata, che viene chiamata “una pellegrina”. Il viaggio è anche una metafora per la vita, particolarmente frequente in Agostino e anche ricorrente in Petrarca[6]. Nel contesto del Canzoniere, il cui tema è l’amore per Laura, la “pellegrina” sarebbe Laura, vista come pellegrina nella vita. La parola “pellegrina” può anche significare “straniera”, ed è anche stata interpretata come riferimento alla bellezza di Laura (di una rara=peregrina bellezza)[7]. Secondo Santagata, il madrigale potrebbe essere stato scritto durante un viaggio che Petrarca ha fatto a Roma, dove avrebbe potuto innamorarsi di una donna che faceva effettivamente un pellegrinaggio[8]. In effetti, viene riportato da Silvano da Venafro che il filosofo napoletano Agostino Nifo avrebbe “veduto e letto la presente Canzonetta scritta di man del Petrarca et vi era scritto di sopra anchor di sua mano: A Madonna Camilla Cane di Verona”[9].

Ci sono riferimenti molto evidenti alla Divina Commedia: nel verso 6, la selva dove ci si perde, e che rimanda a Inferno I, verso 2: “mi ritrovai per una selva oscura” e verso 4: “esta selva selvaggia e aspra e forte”.  Anche l’inizio dello stesso verso fa pensare allo stesso canto dell’Inferno: “Ahi, quanti passi per la selva perdi” (cfr. “Ahi, quanto a dir qual era è cosa dura”, Inf. I, verso 4). Anche l’ultimo verso “e tornai indietro quasi a mezzo ‘l giorno” potrebbe essere una reminiscenza dell’inizio della Divina Commedia, “Nel mezzo del cammin di nostra vita” (Inf. I,1). Infatti molti critici leggono la parola “giorno” come una metafora per il cammino della vita. Questa osservazione renderebbe anche possibile una datazione “interna” della poesia: siccome tradizionalmente si considerava che l’età di 35 anni fosse la metà della vita, si potrebbe dedurre che questa fosse l’età in cui è avvenuta questa conversione. È anche stata avanzata un’altra interpretazione di questo passo: l’ora più calda della giornata potendo essere una metafora per il caldo amoroso[10]. Come nota Santagata, le due interpretazioni non devono necessariamente escludersi a vicenda.

Sono stati notati riferimenti alle Confessioni di Sant’Agostino (la conversione di un uomo vano, ma anche la voce che chiama), e anche alla conversione di Paolo sulla strada di Damasco negli Atti degli Apostoli. La voce alta può essere quella di Dio, ed è anche stata interpretata come quella della propria coscienza, o anche quella di Laura.

A prescindere dalla selva, che è un posto pericoloso, la natura è idillica. Le “erbe verdi” possono essere una metafora per la giovinezza e il faggio è un albero tipico della poesia bucolica (ad esempio in Virgilio)[11]. Questo idillio appunto è tipico del madrigale, ma Petrarca se ne allontana, con l’idea della “selva” pericolosa, e il tema serio del pentimento e della conversione.

La poesia che segue nel Canzoniere, la ballata 55, descrive tuttavia un altro cambiamento: quando l’io lirico pensava che il fuoco del suo amore fosse spento si sbagliava, e il suo amore diventò di conseguenza ancora più forte. Nella ballata si oppongono le isotopie del fuoco e dell’acqua, con la metafora delle tante lacrime che avrebbero dovuto spegnere il fuoco (dell’amore). Anche qui ci sono reminiscenze di Sant’Agostino. 

Secondo Santagata, dal momento che il madrigale è un genere leggero, il pentimento e la conversione di RVF 54 non possono essere molto seri[12]. Egli vede le allusioni a Dante e Sant’Agostino come archetipi che possono essere usati facilmente per una poesia il cui scopo principale è di essere musicata. Naturalmente, Petrarca fa del madrigale e della ballata generi più alti, rispetto alla tradizione precedente e coeva. Ma alla luce della ballata che segue, si può dire che, in effetti, la conversione dell’io lirico non è durata a lungo.



[1] Cf. Campagnolo.

[2] Cf. Schulz-Buschhaus.

[3] Schulz-Buschhaus, p. 24.

[4] Schulz-Buschhaus, p. 24-25.

[5] Campagnolo, p. 10.

[6] Santagata, p. 277-278.

[7] Santagata, p. 291.

[8] Santagata, p. 289-290.

[9] Santagata, p. 289.

[10 ]Pagello, citato da Santagata, p. 293.

[11] Santagata p. 293.

[12] Santagata p. 289

“Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono” è il primo della raccolta poetica Rerum Vulgarium Fragmenta, conosciuto anche come il Canzoniere, di Francesco Petrarca (1304-1374). La raccolta appare per la prima volta nella metà del XIV secolo. Il Canzoniere tratta dell’amore contrastato per Madonna Laura. La natura duale dell’amore provato dall’io lirico, diviso fra passione terrena per la donna e amore celeste per Dio, si lascia rinvenire a livello strutturale nella composizione dell’opera stessa: mentre la prima parte narra del tempo precedente alla morte di Laura, la seconda si concentra sul tempo successivo alla sua scomparsa. I sonetti introduttivi dell’opera si presentano, secondo Picone, come “un blocco omogeneo sia dal punto di vista tematico che ideologico.”[1] Essi, secondo l’autore, assolverebbero inoltre non solo una funzione narrativa, bensì di commento, in quanto forniscono informazioni capitali dal punto di vista ermeneutico.[2] Trattandosi del sonetto inaugurale dell’intera raccolta poetica, esso comincia con una dedica al lettore, o all’ascoltatore, che assomiglia molto ad una captatio benevolentiae: “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”. Come sostenuto da Santagata, infatti, “il sonetto si adegua per più aspetti ai canoni, classici e romanzi, dell’exordium.”[3] Quest'idea è condivisa da Picone, il quale afferma che dal secondo sonetto fino al quinto si colloca l’initium narrationis, la cui funzione “è quella di esibire gli elementi sui quali l’evento raccontato si basa.”[4] Il primo verso della prima quartina esprime, quindi, in modo inequivocabile, attraverso il pronome personale soggetto “Voi”, il destinatario del componimento poetico: il pubblico lettore, che ascolta “in rime sparse il suono”, ovvero legge le poesie del poeta. È indicativo il fatto che vi sia una forte propensione a marcare deitticamente il “Voi” ricorrendo a una figura retorica classica, l’anacoluto. Tra il primo verso della prima quartina e l’ultimo della seconda, infatti, non vi è coesione a livello sintattico-grammaticale fra le varie parti della frase: "Voi che ascoltate"/ "spero trovar pietà". In questo primo sonetto vi è anche una forte presenza dell’io lirico, la quale viene declinata secondo uno schema ossimorico, che vede contrapposto all’io del presente quello del passato. Il pronome personale soggetto “io” è infatti rintracciabile per ben tre volte: due nella prima e una nella seconda quartina. Nell’ultimo verso della prima quartina è espressa in modo cristallino la contrapposizione temporale fra era/sono dell’io lirico, la quale viene connotata in maniera molto precisa: la giovinezza dell’io lirico viene interpretata come un momento di corruzione e perdizione, mentre nel presente egli sembra aver riacquistato la saggezza. Confrontando la prima quartina con la prima terzina del sonetto, infatti, appaiono chiaramente il pentimento e la vergogna presenti, per le azioni dell’io lirico compiute nel passato. Il dualismo temporale rinvenuto nella prima quartina fra il sono/era dell’io lirico è rintracciabile nella struttura del sonetto stesso. Se sull’errore giovanile si concentrano le prime due quartine, il tema del dolore e del pentimento attuale viene declinato in maniera chiara nelle due terzine finali. Quello dell’errore giovanile, del pentimento e del dolore conseguente è quindi il tema fondamentale del componimento poetico. Anche il tempo segue questo andamento duale, essendo i tempi verbali del sonetto declinati al presente, al passato remoto e all’imperfetto. Questo aspetto sembra essere confermato da Rico, il quale rileva come caratteristica costitutiva di questo primo sonetto “l’architettura bimembre, il gioco di dicotomie.”[5] Il sonetto è, come si accennava, diviso tematicamente e temporalmente fra le prime due quartine e le ultime due terzine. Per lo studioso spagnolo il dualismo rintracciabile nel microtesto verrebbe riflesso a livello macrotestuale nell’intera struttura del Canzoniere.[6] Tuttavia è necessaria una precisazione: la divisione fra prima e dopo viene sfumata nella prima quartina dalla locuzione “in parte”, che traccia una linea di continuità fra i due esseri dell’io lirico.

A livello semantico sono rintracciabili diverse isotopie. Centrale è quella del dolore patito dall’io lirico che costituisce, come detto, anche l’oggetto stesso della poesia: “sospiri”, “errore”, “piango”, “dolore”. Fondamentale è anche il tema della speranza e della voglia di riscatto da parte del poeta, che seguono al riconoscimento dell’errore commesso in gioventù. A tal proposito troviamo il gruppo semantico: “speranze”, “spero”, “pietà”, “perdono”. A questi gruppi semantici che connotano in modo inequivocabile il tono delle prime due quartine segue il tema del pentimento, descritto nelle ultime due terzine del sonetto: “favola fui”, “mi vergogno”, “vaneggiar”, “pentersi”, “breve sogno”. Si potrebbe a questo punto avanzare addirittura l’ipotesi che il dualismo insito nell’io lirico, diviso fra amore terreno per Laura e il sentimento religioso (a sua volta espresso dalle isotopie: “piango et ragiono, “vane speranze e ‘l van dolore“), conduca al suo pentimento. L’aggettivo “sparse” connota in questo contesto anche la struttura interna dell’io lirico, dilaniato dall’errore che lo ha allontanato da Dio, ed è inoltre ricollegabile alla prima terzina del sonetto LXI del Canzoniere: “chiamando il nome de mia donna ò sparte”. In entrambi i casi l’aggettivo "sparse" crea un collegamento fra il dolore amoroso dell’io lirico e la sua interiorità divisa.

Come accennato in precedenza, la divisione del componimento poetico in due quartine e in due terzine, tipica della struttura del sonetto, rispecchia una divisione tematica fra dolore e pentimento dell’io lirico. Essendo il sonetto un componimento isometrico, i versi sono tutti endecasillabi e presentano uno schema metrico del tipo: ABBA, ABBA, CDE, CDE, “con assonanza di A con E, e imperfettamente con B, -ono, -ogno, -ore”[7]. Quest’ultima è, come sottolineato da Noyer-Weidner[8], di particolare importanza, se si pensa che unisce non solo le tradizionali parole core : amore : dolore ma anche e soprattutto “errore”. Per lo studioso tale parola costituirebbe addirittura il perno attorno al quale ruoterebbe l’intero componimento poetico. Un altro studioso come Martinelli[9] ne ha sottolineato la valenza semantica originale, non essendo secondo lui rapportabile all’idea di “colpa, fallo” quanto di “erranza”, ovvero di allontanamento da Dio. Dal punto di vista retorico sono presenti diverse figure. All’anacoluto iniziale seguono simmetrie e chiasmi che si ricollegano al dualismo tematico. Così troviamo nelle prime due quartine una struttura a chiasmo: mentre nella prima troviamo inizialmente l’invocazione “Voi che ascoltate” e poi la catena delle subordinate, nella seconda quartina lo schema viene rovesciato, poiché la catena delle subordinate precede, alla fine del verso, l’invocazione “spero trovar pietà, nonché perdono”. Nel secondo verso della seconda terzina troviamo invece un parallelismo: “le vane speranze e ‘l van dolore”. La coppia semantica “speranza” - “dolore” forma tuttavia una forma a chiasmo con la coppia “piango” – “ragione”, presente nel verso immediatamente precedente. Numerose sono le metafore: nella prima quartina il verbo “nutrire”, nella prima terzina il sostantivo “favola”, il quale forma con il verbo “fui” anche un’allitterazione e, infine, nell’ultima terzina troviamo ancora la parola “frutto” utilizzata metaforicamente. Oltre a quella appena ricordata, vi sono altre allitterazioni: quelle inizianti per V: “vario”, “vano”, “vaneggiar”, “vergogna”, e quella con iniziale M: “di me medesmo meco mi vergogno”, volta ad evidenziare dal punto di vista retorico il carattere penitenziale del sonetto.

[1] Picone, p. 25.

[2] Cfr. ivi.

[3] Santagata, p. 6.

[4] Picone, p. 26.

[5] Rico, p. 106.

[6] Ivi, p. 107.

[7] Bettarini, p. 5.

[8] Noyer-Weidner, pp. 327-353.

[9] Martinelli, pp. 278-300

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Bibliografie

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P r i m ä r l i t e r a t u r

PETRARCA, Francesco

,

: Canzoniere

, hg. von

. Edizione commentata a cura di Marco Santagata,

Mailand 1996.PETRARCA, Francesco, Canzoniere. Rerum vulgarium fragmenta, hg. von Rosanna Bettarini, Turin 2005.

Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1996.

S e k u n d ä r l i t e r a t u r

MARTINELLI, Bortolo, L’ordinamento morale del Canzoniere, in ebd., Petrarca e il Ventoso, Bergamo 1997, S. 217-300.

NOYER-WEIDNER, Il sonetto I, in «Lectura Petrarce», IV (1984), S. 327-353.

PICONE, Michelangelo, L’inizio della storia (RVF 1-10). in Il Canzoniere. Lettura micro e macrotestuale. hg. von Michelangelo Picone, Ravenna 2007, S. 25-51.

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CAPOVILLA, Guido: Le ballate del Petrarca e il codice metrico due-trecentesco. Casi di connessioni interne e di monostrofismo nella ballata italiana “antica”, in: «Giornale Storico della letteratura italiana», CLIV (1977), p. 238-260.

SCHULZ-BUSCHHAUS, Ulrich: Das Madrigal. Zur Stilgeschichte der italienischen Lyrik zwischen Renaissance und Barock, Verlag Gehlen, Bad Homburg-Berlin-Zürich 1969RICO, Francisco, 'Rime sparse', 'Rerum vulgarium fragmenta'. Para el titulo y el primer soneto del 'Canzoniere', in «Medioevo romanzo», III (1976), S. 101-138.